La bellezza della fatica e il gusto dell'impresa
   Edizione 2024

La conferma dei miei dubbi sulla mia latente misoginia è arrivata una domenica di ottobre a L'Eroica, il giorno della mia prima Eroica.

. C'era gente attorno a me, parecchia gente, e la mia attenzione si concentrava essenzialmente su due cose: le biciclette e i cappellini. Cosa ci fosse sopra la sella e sotto il cappellino aveva per me un'importanza decisamente inferiore a quella che davo alla bicicletta e al cappellino. 

Le biciclette le ho sempre sbirciate. Sin da quando ero bambino davo parecchia importanza a quegli otto tubi e due ruote: le guardavo, sognavo di averne a bizzeffe, soprattutto quelle dei corridori. Io pedalavo su bici che non erano come quelle dei corridori. Avevano il manubrio dritto e le ruote grosse, mica il manubrio ricurvo e le ruote sottili. Non me ne avevano mai presa una, avevano sempre detto che terra e ghiaia erano più sicuri dell'asfalto, che pedalare tra i campi c'era meno rischio di trovare le automobili. C'ho messo decenni a prendermi una bicicletta come quelle dei corridori per poi capire in molti meno anni di quelli che c'ho messo a concedermene una che, tirando le somme, non era poi male correre tra terra e ghiaia. 

Quel giorno però, quello della mia prima Eroica, iniziai a capire che c'era un'altra cosa che mi piaceva un sacco della bicicletta, o meglio di ciò che faceva da contorno alla bicicletta: i cappellini. 

Prima di allora di cappellini ne avevo un paio, ma non li usavo mai. C'era il casco, dicevo. E poi io ero uno da bandana, mi convincevo. Quelli che sono per Marco Pantani sono sempre tipi da bandana. Sono ancora per Marco Pantani, ma da quel giorno sono diventato uno da cappellino. 

C'avevo mai fatto caso al fatto che la bicicletta ha un cappellino tutto suo, come non se ne trovano altrove. Che di cappelli ce ne sono tanti, alcuni eleganti, altri signorili, c'è stato un momento che si sono imposti quelli sportivi, da baseball, che facevano tanto americani. Quelli da bicicletta invece non sono mai andati di moda, sebbene ora se ne vedano in giro un po' di più di un tempo addosso a chi non pedala, o almeno a chi non pedala in quel momento. Perché è sempre stato un vezzo da pedalatori mentre erano intenti a pedalare, che una volta scesi di bicicletta si riponeva via. D'altra parte è bizzarro il cappellino da ciclista, con quella calotta a spicchi e il frontino corto che non serve granché se non si è in sella. 

Ed è bizzarra pure la storia dei cappellini, o meglio casquette, visto che sono francesi per nascita. Se li era inventati un tizio di Parigi nei primi anni del Novecento pensando di aver avuto la trovata geniale che l'avrebbe arricchito. Fu un insuccesso clamoroso. Ne vendette talmente poche che nemmeno si prese la briga di brevettarne forma e progetto. Chi fosse è incerto. C'è chi diceva si chiamasse A. J. Chasse, chi O. Lepper, chi O. Petit. Qualcuno parlò anche di tal A. J. Moreau, sostenendo fosse lo zio di Jeanne Moreau che aveva un negozio di cappelli nel X arrondissement di Parigi, vicino a la Gare de l'Est. Non ci sono certezze storiche, la storia la fanno solo i vincenti e il creatore della casquette non era tra questi. Chissà cosa ha pensato quando dopo la Seconda guerra mondiale le casquettes hanno iniziato a diffondersi nel gruppo. Fu un bel successo, soprattutto perché gli sponsor li adoravano, davano visibilità al marchio in tutte le foto, anche quelle coi primi piani dei corridori. 

Chissà perché non fecero successo subito, mi sono chiesto più volte. Chissà in cosa sbagliò il monsieur Chasse o Lepper o Petit o Moreau o come diamine si chiamasse. 

In quella domenica di ottobre, quella della mia prima Eroica, mi imbattei in un cappellino celeste e bianco con su scritto BIANCHI in grande e, sotto, in piccolo, PAOLO, AZIENDA EDILE. MILANO. C'era pure il numero di telefono. Mi sembrò una pessima trovata di marketing, perché è chiaro che quando uno in bicicletta vede BIANCHI non pensa neppure per un secondo alla Bianchi Paolo, azienda edile, Milano, ma all'altra Bianchi, quella delle biciclette. Mi chiesi se l'idea fu buona, se funzionò, se almeno uno di quei cappellini gli avesse portato un cliente. Mi dimenticai subito del cappellino con su scritto  

BIANCHI 

PAOLO, AZIENDA EDILE 

MILANO 

 

Giovanni Battistuzzi 

Ora però che mi è chissà come ritornato in mente lo vorrei avere. Perché, indipendentemente dalla bontà o meno della trovata di marketing, era un bel cappellino, di quelli con le scritte ancora ricamate. 

 

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